La tensione sul fronte valutario tra USA e Cina ha raggiunto un nuovo massimo questa settimana dal momento che le riserve estere della Cina hanno toccato l’incredibile livello record di 2,65 trilioni di dollari. Il picco di 194 bilioni di dollari in riserve estere è da attribuirsi al forte rimbalzo nelle esportazioni ma anche ai forti flussi investimenti in entrata verso la Cina. Ciò si è verificato nonostante la bilancia commerciale della Cina abbia subito una scivolata dai 20 bilioni di dollari dello scorso mese ai 16, 9 bilioni a causa dell’aumento delle importazioni cinesi. Il continuo aumento delle riserve estere della Cina ha risvegliato le tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina in relazione alla sottovalutazione dello Yuan. Gli Stati Uniti accusano la Cina di violare le regole del commercio internazionale, manipolando la valuta locale.
La Cina mantiene lo yuan ad un tasso sottovalutato rispetto al dollaro per mantenere bassi i costi del settore manifatturiero e salvaguardare la crescita. Tuttavia dal momento che la crescita della Cina continua a essere a due cifre mentre gli Stati e l’Europa si trovano in una fase di stagnazione ciò alimenta le tensioni verso la Cina e la sua politica monetaria. Il nervosismo tra Cina e Stati Uniti ha toccato nuovi livelli nel corso della settimana scorsa quando gli Stati Uniti hanno minacciato di etichettare la Cina come manipolatore valutario. Tale mossa politica porterebbe a pesanti ripercussioni sulle importazioni dalla Cina verso gli USA e peserebbe in modo significativo sulle esportazioni cinesi.
La minaccia di procedere in tal senso è improvvisamente percepita come probabile con le elezioni statunitensi all'orizzonte. Ciò nonostante la tensione fra le due superpotenze si sta col tempo allentando dal momento che entrambe le parti stanno concordando di abbandonare la fermezza della propria posizione. La Cina ha consentito che lo Yuan salisse del 2,4% e ha aumentato i margini sulle riserve per le principali banche del paese, una mossa che si prevede favorirà i flussi di investimenti in entrata verso il paese e ridurrà le notevoli riserve in valute estere.
La mossa è stata apparentemente percepita bene da Washington e l’amministrazione statunitense ha accettato di rimandare la decisione di etichettare la Cina come manipolatore valutario fino a dopo le elezioni negli USA. Se però permanesse ancora per molto tempo il tasso di disoccupazione sopra il 9,5% e la crescita rimanesse frenata è facile prevedere che le pressioni politiche interne che chiedono all’amministrazione di agire contro la Cina potrebbero continuare. Gli investitori continueranno a osservare attentamente gli sviluppi di questo lungo tango tra il maggiore consumatore mondiale e il più grande produttore al mondo.
Nonostante gli attuali fondamentali siano a favore dell’ampio selloff del dollaro, si prevede che la Fed attui un programma da 1 trilione di dollari di QE. Tuttavia ci si dovrebbe chiedere se la debolezza del dollaro sia sostenibile nel lungo periodo. La risposta potrebbe venire dopo che si saranno conclusi tutti i price gap sul dollaro creati dal primo QE e dopo che l’euro è sceso vicino alla parità per diversi mesi. Perché in realtà questa volta le misure di QE dovrebbe avere un effetto permanente sulla debolezza del dollaro? Un altro case study che sostiene la tesi che la debolezza a lungo termine del dollaro potrebbe non essere sostenibile è la crisi del credito giapponese. L’economia giapponese ha vissuto l’esperienza di una crisi del credito molto simile e i politici giapponesi hanno utilizzato misure simili. Tuttavia, alla fine il governo e la BOJ hanno esaurito tutte le loro forze cercando di abbassare i costi di rifinanziamento.
Oggi dopo 20 anni di costante facilitazione del credito, l’economia del Giappone resta ancora stagnante e lo yen è ancora scambiato sui livelli massimi. Potranno gli Usa evitare lo stesso destino?