Le elezioni presidenziali statunitense sono ormai solo un ricordo, mentre arriviamo quasi alla certezza che il USD continuerà a calare di prezzo (o, quantomeno, non si rafforzerà), a causa di uno dei regimi di politica monetaria più lenti del mondo sviluppato. Di conseguenza, la direzione che prenderà l’Euro verrà determinata internamente, ad esempio da elementi interni all’eurozona.
Al momento la pressione è sulla moneta unica, e gli investitori tornano nuovamente a concentrarsi sulla Grecia. Mentre in passato il ritardo era dovuto alle lotte che il governo greco doveva sostenere con i partiti di coalizione per far approvare pacchetti di austerità e bilanci, precondizioni per il rilascio dei fondi, adesso è il risultato dei battibecchi che intercorrono tra le entità che tengono i cordoni della borsa, vale a dire la Banca Centrale Europea, il Fondo Monetario Internazionale e i politici europei, o, tutti insieme, la Troika.
Ciò che preoccupa è, ovviamente, il tempismo con cui verrà rilasciata la prossima rata dei fondi di salvataggio garantiti originariamente dalla Troika. Tutti gli indizi suggeriscono che il pagamento non arriverà a breve, e il governo greco sta già tentando di accaparrarsi scorte di denaro, ora mancante, tramite un’asta di buoni del tesoro a breve termine. La Grecia ha già venduto un totale di 2,762 miliardi di Euro di buoni a scadenza mensile (ad un tasso d’interesse del 3,95%) e 1,3 miliardi di buoni a scadenza trimestrale (ad un tasso d’interesse del 4,2%, quattro punti base più alto rispetto a venditi simili effettuate lo scorso mese) per un totale di 4,06 miliardi di Euro. Non sarà sufficiente a coprire i 5 miliardi di Euro di debito maturati, ma nei prossimi due giorni il tesoro greco potrà vendere a prezzi più competitivi per coprire la differenza.
Chi ha un ruolo sui mercati Forex ha anticipato la possibilità che il voto del parlamento greco potesse essere ritardato (sorprendentemente non lo è stato) ma non aveva previsto che la stessa Troika diventasse un ostacolo al pagamento. Sembra ora che nessuna decisione verrà presa fino al 20 novembre, data del prossimo summit dei ministri delle finanze europei. Un analista ha sottolineato che è vitale che il pagamento venga rilasciato entro la fine del mese, o il governo greco non avrà più soldi.
Com’è ovvio, i politici sanno benissimo che la crisi finanziaria incombe ora sulla Grecia, ed è dunque lecito chiedersi perché stiano trascinando la questione così a lungo. In questo caso, il ritardo è il risultato di un pubblico disaccordo tra i due terzi della Troika. Il direttore dell’FMI, Christine Lagarde, ha iniziato pubblicamente un testa a testa con Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo dei Ministri della Finanze. Lagard ha insistito a dire che, in base ai precedenti accordi, la Grecia dovrà ridurre il suo debito al 120% del PIL entro il 2020, mentre secondo Juncker la scadenza andrebbe estesa di due anni (fino, dunque, al 2022) per dare all’economia greca un po’ di tempo in più per riprendersi. Sembrerebbe quasi un’espressione di generosità da parte dei governi dell’unione, ma la realtà è che, se la Grecia non sarà in grado di raggiungere l’obiettivo prestabilito entro il 2020, gli altri paesi dell’Eurozona che sono creditori degli ellenici potrebbero essere obbligati ad accettare ulteriori riduzioni dei loro prestiti. A meno che non si giunga ad un accordo tra i governi dell’area Euro e il Fondo Monetario Internazionale, la prossima tranche di fondi non sarà rilasciata, dato che il denaro è sborsato da entrambe le entità contemporaneamente.
Qualsiasi modifica degli accordi attuali dovrà essere approvata dai parlamenti dei paesi che hanno contribuito a finanziare l’EFSF (European Financial Stability Fund, Fondo europeo di stabilità) e l’ESM (European Stability Mechanism, Meccanismo di stabilità). Molto probabilmente la Germania si schiererà con chi già punta i piedi; il governo tedesco e i suoi cittadini ritengono infatti che, essendo la più grande economia dell’Eurozona, la Germania porterà il fardello dei costi del salvataggio greco. Il governo tedesco sta facendo del suo meglio per proteggere i propri cittadini, e così eventuali emendamenti agli attuali accordi di fornitura dei fondi dovranno ricevere l’approvazione del parlamento tedesco, che non si riunirà prima della prossima settimana.
Dalla metà di settembre, l’Euro ha perso il 3,7% del suo valore contro il Dollaro statunitense, e gli analisti si aspettano un futuro al ribasso. Le aspettative secondo cui l’EUR/USD sarebbe potuto tornare ad 1,30$ sono ora significativamente ridimensionate. È chiaro che ben poche news potrebbero supportare l’Euro in maniera sostenibile e duratura, mentre molte potrebbero dare un’ulteriore spinta alla corsa verso il basso della moneta unica.