Negli ultimi giorni non si parla altro che di Tobin Tax, la famosa tassa sulle transazioni finanziarie ideata e proposta negli anni ’70 dall’economista e premio Nobel americano James Tobin. In Europa, l’idea di raccogliere una tassa aggiuntiva sulle transazioni finanziarie è stata spinta soprattutto dalla Francia e appoggiata dal Premier italiano Mario Monti, come meccanismo per aumentare le entrate del settore finanziario, le quali potrebbero essere usate per contribuire a pagare alcuni costi della crisi del debito europeo. Gli inglesi si sono opposti con veemenza a qualsiasi mossa di questo tipo, poichè qualcosa come l’80% di tale tassa (se fosse stata applicata in tutta l'U.E.) sarebbe stata sostenuta proprio nella City ed il governo inglese ha temuto che l’onere fiscale supplementare potesse causare un fuggi-fuggi delle aziende da Londra, in cerca di altre giurisdizioni in cui l’imposta non si sarebbe applicata.
Magnanimi, gli inglesi si sono resi ben disponibili a riscuotere l'imposta, qualora fosse applicata a livello globale, naturalmente sapendo che vi erano pochissime possibilità perchè questo ptesse effettivamente accadere.
In opposizione alla decisione del Regno Unito, 11 dei membri dell’Eurozona hanno concordato all’introduzione di tale imposta. Senza alcun dubbio, questi Paesi chiamati Italia, Francia, Germania, Austria, Spagna, Belgio, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Grecia ed Estonia si stanno preparando per il volo del loro settore finanziario per Londra. La nuova imposta sarà applicata ad un tasso dello 0,1% del valore delle obbligazioni o di trading azionario e dello 0,01% per gli scambi sui derivati. Gli olandesi non hanno aderito al nuovo regime fiscale, ma hanno recentemente eletto un nuovo governo che in linea di principio, è a favore della suddetta Tobin Tax.
E’ stato anche suggerito che la Tobin Tax potrebbe mettere i freni al trading veloce e speculativo, al quale è stata addossata la colpa in alcuni trimestri di esacerbare la crisi finanziaria globale.
Londra non applicherà la Tobin Tax, a causa degli investitori sui mercati di Londra che hanno sede in un paese firmatario (il Regno Unito impone già una "imposta di bollo" dello 0,5% - o tassa - su azioni quotate nel Regno Unito). La misura è stata apportata in base alle regole che consentono la "cooperazione potenziata" nei sottogruppi dell’Unione Europea e non richiede l’approvazione esterna.