Quello delle multinazionali che pagano la loro giusta quota di tasse è stato un tema caldo negli ultimi tempi, soprattutto alla luce dei cosiddetti “sweetheart deals” portati avanti in Lussemburgo, che apparentemente prevedono l’applicazione di una tassazione molto ridotta quando il denaro guadagnato altrove in Europa fluisce nelle casse del Granducato. Ok, magari questa pratica non può essere considerata come illegale, ma di certo è immorale e di fatto una deprivazione della quota di imposte dovuta alle giurisdizioni dei territori nei quali sono stati realizzati quei profitti.
L’evasione fiscale è un reato, è l’abilità in materia contabile di ridurre le imposte che un’azienda deve versare sfruttando la legislazione fiscale, così da compensare le tasse sui profitti a fronte di spese “legittime”. Dunque, se la gente è arrabbiata per gli abusi delle grandi multinazionali, il potere di cambiare le cose è nelle mani dei rappresentanti che essi stessi hanno eletto.
L’ultimo scandalo fiscale ad essere finito al centro dell’attenzione riguarda il gigante dei social media: Facebook. Nel 2014 la società ha versato in tasse un misero totale di 4.327 Sterline, meno di quello che versa un dipendente medio fra imposte su reddito e assicurazione sanitaria: 5.392,8 Sterline. Con un escamotage, la società è riuscita a dichiarare una perdita operativa nel Regno Unito di 28,5 milioni di Sterline, nonostante abbia ricompensato i 362 dipendenti britannici con azioni della società per un valore di 35,4 milioni di Sterline. Una media di 96.000£ ognuno. Se una piccola azienda del Regno Unito avesse accumulato un livello tale di debiti, sarebbe stata costretta a cessare l’attività e dichiarare bancarotta, ma queste regole non valgono quando si tratta di multinazionali.
Ogni dubbio sul fatto che Facebook si trovasse in difficoltà economiche è dissipato dalla consapevolezza che nel 2014 ha generato profitti per 2,9 miliardi di Dollari, quasi raddoppiandoli in un anno. I proventi dalla pubblicità (non a scopo di lucro) sono saliti del 53% arrivando a circa 3,6 miliardi di Dollari (il sito vanta 1 miliardo e 390 milioni di iscritti in tutto il mondo).
Ultimamente ha fatto molta notizia il “non mi piace” che gli user potrebbero utilizzare. Una pagina Facebook dedicata alla responsabilità delle multinazionali nel pagare la loro parte al resto del mondo, probabilmente riscuoterebbe la sua bella fetta di “non mi piace” piuttosto rapidamente.
Secondo un rapporto OECD/G20, gli “sweetheart deals” con le grandi multinazionali costano allo Stato fra il 4 e il 10% di (legittime) imposte sugli utili societari totali ogni anno (all’incirca fra i 100 e i 240 miliardi di Dollari rimangono nelle tasche delle società, piuttosto che tornare nelle comunità dove i profitti sono stati generati). Le multinazionali devono poter prosperare e fare buoni profitti per gli azionisti, ma hanno anche l’obbligo di pagare la loro parte di imposte alle comunità che le ospitano. La soluzione è saldamente stretta nelle mani dei legislatori (nessuno sano di mente vorrebbe pagare più tasse del dovuto, ma un sistema che permette a una società di ricompensare i propri dipendenti con bonus in azioni per 35,4 milioni di Sterline versando nelle casse dello Stato solo 4.327 Sterline, è chiaramente da riformare).