Il mese scorso il popolo argentino ha posto fine a 12 anni di socialismo con l’elezione a Presidente della nazione di Mauricio Macri, ex-sindaco di Buenos Aires. Il Presidente eletto ha dichiarato di voler chiudere col passato, con le promesse di un approccio più favorevole per le imprese, di risolvere i problemi con i creditori esteri a causa dell’insolvenza della nazione nel 2002, porre fine alla corruzione (beh, è la stagione delle buone intenzioni…) e di modificare la rotta della politica estera da Venezuela e Iran a collegamenti migliori, con USA e paesi occidentali.
Una delle prime decisioni più importanti della nuova amministrazione è stata la rimozione dei controlli sulla valuta nazionale, il Peso argentino. Di conseguenza il Peso è sceso, perdendo il 30% del suo valore contro il Dollaro. Le restrizioni hanno tenuto artificialmente il valore del Peso a circa 9,8 Dollari, ma sul mercato nero il Dollaro comprava 145 Pesos. Questa mossa renderà subito le esportazioni argentine più competitive sui mercati internazionali, e anche le restrizioni sulle aziende che acquistano Dollari sono stati eliminati, ma i controlli sugli acquisti di Forex da parte di privati rimarranno in vigore.
Alla banca centrale è stata concessa l’autorità di acquistare Pesos, così da sostenerne il valore nel caso in cui il tasso di cambio con il Dollaro scendesse troppo duramente, ma in generale l’intervento delle banche centrali a supporto di un certo cambio si è rivelato inutile (con la notabile eccezione della banca centrale svizzera, chiaramente).
Una disputa sui cosiddetti “fondi avvoltoio” ha visto la nazione obbligata ad andare in default sovrano, dal momento che i creditori che attualmente detengono una parte del debito hanno rifiutato di accettare un taglio del debito, volto a risolvere la crisi, richiedendo il pagamento pieno e bloccando dunque i creditori che avevano invece accettato l’accordo, innescando così il default. La nuova amministrazione sarà pronta a risolvere tempestivamente il problema.