I leader dei vari governi europei, istituzioni e organismi dell’UE hanno sottolineato frequentemente che i due anni di notifica richiesti dopo l’invocazione dell’articolo 50 sono un periodo di tempo molto stretto per poter stabilire un accordo commerciale post Brexit fra Regno Unito e UE. Infatti, i più perspicaci hanno fatto notare che il periodo non era rivolto a queste negoziazioni, ma è piuttosto un periodo nel quale le due parti possono svincolarsi l’una dall’altra. In altre parole, l’UE non può iniziare a discutere trattati commerciali con il Regno Unito fin quando questo non cesserà di esserne uno stato membro, anche se in questo senso verrà certamente garantito un certo spazio di manovra.
David Davis del Regno Unito ha promesso “la disputa dell’estate” fra UE e UK per assicurare che l’accordo verrà discusso parallelamente con quello che è stato definito un “accordo di divorzio”, ma questa posizione è stata rapidamente abbandonata con l’inizio delle negoziazioni ufficiali, per poi essere ripresa recentemente con il pretesto che devono essere intavolati discorsi reali sul destino del confine britannico/irlandese per le future relazioni commerciali.
Il governo inglese deve ancora rendersi conto (almeno pubblicamente) di avere in mano davvero poco per imporsi sui 27 paesi dell’UE, e che nonostante voglia evitare lo scenario del “precipizio fiscale” quando il Regno Unito uscirà dal blocco ad aprile 2019, il danno economico per l’UK sarà enormemente superiore rispetto a quello che potrebbe subire l’UE.
Durante l’estate è diventato chiaro che il Regno Unito cercherà un periodo di transizione (di 2, 3 anni?) dopo l’uscita dall’UE, ma mentre questo va a beneficio degli interessi dell’UK, risulta meno chiaro perché l’UE dovrebbe accettare di prolungare l’agonia della separazione con la sua intrinseca incertezza (dannosa a livello economico). Allo stesso modo, veniamo a sapere che il Regno Unito intende lasciare l’unione delle dogane e stabilire una nuova, identica unione delle dogane con l’UE, ma con una piccola differenza: la nuova permetterà al Regno Unito di stipulare accordi di libero commercio con chiunque voglia (cosa che l’accordo in vigore non permette). Il nuovo confine UK/UE (con la Repubblica d’Irlanda) dovrebbe essere un confine meno rigido e con più liberà di importazione ed esportazione di merci. A chi governa dovrebbe risultare ovvio che l’UE e l’Irlanda semplicemente non possono accettarlo (alcuni affermano che un accordo del genere, in ogni caso, violerebbe le regole del WTO), e di nuovo, è difficile vedere il beneficio che ne trarrebbe l’UE.
Il Regno Unito ha ribadito nuovamente di non voler più essere soggetto alle decisioni della Corte di giustizia europea (con effetto immediato a seguito della Brexit), con la riluttante concessione che continuerà una giurisdizione “indiretta” dell’UE.
La riluttanza dell’UE ad accettare i sogni impossibili del Regno Unito viene derisa e definita come bullismo dalla stampa britannica, incoraggiando l’opinione pubblica ad incolpare l’UE dell’imminente disastro della Brexit, mentre il merito va agli inglesi e al partito conservatore.
La Brexit si può fermare in vari modi dal governo o (di fatto) dal parlamento, ma questo porrebbe fine a diverse carriere politiche e potrebbe spaccare i partiti principali. Al momento non c’è propensione ad agire negli interessi nazionali, piuttosto che del partito.