La frase più adeguata all’intero processo Brexit è stata probabilmente fatta tempo fa dal parlamentare conservatore veterano ed ex Cancelliere, su come la storia ricorderà David Cameron: “Come Tony Blair verrà ricordato dalla storia come l’uomo che ci portò in Iraq, David Cameron verrà ricordato come l’uomo che accidentalmente ci ha portato fuori dall’Europa. È una cosa molto triste”.
La frase cattura l’essenza del fiasco della Brexit: non doveva andare così. Il voto avrebbe dovuto solo mettere a tacere l’ala euroscettica del partito conservatore, togliere il tappeto da sotto i piedi dell’UKIP e sostenere il destino del Regno Unito all’interno dell’UE. Ooops!
Qualsiasi osservatore informato sul dibattito della Brexit sa che non ci sono “paesaggi soleggiati” all’orizzonte e che il grande futuro della nazione come leader globale del “libero scambio” è solo vuota retorica. È la ricetta perfetta per incertezza e disordini economici. Il voto in sé per il referendum era consultivo, a significare che il governo non era obbligato a mettere in pratica quella che è stata rapidamente etichettata come “la volontà del popolo”, una posizione sostenuta dai tabloid sciovinisti di destra. Questo significa che è diventato politicamente impossibile per il governo, o l’opposizione ufficiale, andare apertamente contro la Brexit (anche se la sua forma rimane totalmente oscura). Il risultato principale della scelta è stata la perdita della maggioranza che aveva il partito conservatore, come anche del sostegno dell’opinione pubblica per la “visione” della Brexit che stava fornendo la May.
Ora spostiamoci a quella che è conosciuta come “Great Repeal Bill”, una legge parlamentare destinata a raccogliere l’intera legislazione vigente dell’UE sullo statuto britannico e a incorporarla (senza riferimenti a UE o Corte di giustizia europea) in una legislazione del tutto nuova, che verrà riformata a piacimento. I poteri che il governo spera di conferirsi attraverso l’uso di una legislazione secondaria e delle cosiddette leggi di Enrico VIII, lasciano sbalorditi. In sé per sé, la legge è stata causa di grande preoccupazione in parlamento, e sebbene l’influenza della “volontà del popolo” lo abbia fatto arrivare al cosiddetto “committee stage”, dovrà affrontare oltre 300 emendamenti.
Politici più razionali, in contrasto con una hard Brexit e le possibilità di un salto nel vuoto senza possibilità di stipulare accordi, e dunque, senza un periodo di transizione, stanno usando la legge e le assemblee transpartitiche per insistere che la legge includa un punto chiave nella legislazione (sempre se accettata, fra le altre cose): la necessità di un’ulteriore legge per far uscire il Regno Unito dall’UE a seguito di un voto in parlamento; questo accordo di transizione deve essere accettato come parte della legge; e infine, che non si può accettare un risultato che non preveda un accordo.
Rimane da vedere quanti parlamentari conservatori voteranno a favore di questi emendamenti, contro le volontà del loro leader, e quanti deputati pro-Brexit del partito laburista fiancheggeranno con il governo, ma sembra inevitabile che il “Repeal Bill” non verrà approvato nella sua forma attuale e che gli emendamenti verranno presentati da entrambe le camere del parlamento mentre i parlamentari si preparano.
Un altro fattore critico è che una Brexit senza accordi porterebbe a dover imporre nuovamente dei confini rigidi con l’Irlanda; il DUP, sul cui sostegno fa affidamento il governo per mantenere in piedi la esigua maggioranza di cui dispone, è assolutamente contro a questa ipotesi, e non potrebbe mai appoggiare il governo nell’eventualità che accada qualcosa di simile.