Brexit significa Brexit; accordo su misura; il miglior accordo possibile; rapporto unico e stretto; unione delle dogane che rispecchia quella esistente; commercio senza attriti, eccetera; tutto questo potrebbe sembrare favoloso per il lettore occasionale di notizie e di analisi tecniche, ma non fornisce né dettagli né base sui quali le imprese dall’altro lato possano prendere decisioni strategiche.
Quando il Regno Unito ha informato l’UE delle sue intenzioni di abbandonare il blocco, a marzo, ha dato inizio ad un processo di due anni volto a permettere lo svincolamento del Regno Unito dai 27 partner che rimarranno nell’UE. Una volta completato il processo (e in linea di principio, solo allora) il Regno Unito, come nazione esterna, avrà la libertà di discutere il suo futuro rapporto commerciale con l’UE. Se venisse seguito alla lettera il modello, il Regno Unito cesserà di essere legato (o protetto) dalla vasta quantità di accordi dell’UE, che coprono ogni aspetto, dallo spazio aereo che gestisce l’UE nel trasporto aereo alle condizioni di scambio con molte nazioni che hanno accordi bilaterali con l’UE. Quest’ultima sarà costretta ad applicare dei controlli doganali sui prodotti di importazione dal Regno Unito, e questa dovrà fare lo stesso con le merci che arrivano dalla direzione opposta nonostante nessuna delle due parti disponga di infrastrutture per farlo. Le complessità della separazione sono immense e influenzeranno tutti gli aspetti della vita in Regno Unito, dal trasporto di radionuclidi, utilizzati nella terapia contro il cancro, al prezzo degli alimenti che compriamo nei supermercati (a confronto, le fatiche di Ercole sembrano il lavoro di un pigro perditempo).
Non sorprende che le imprese vogliano una certa dose di certezza. Una delegazione di leader imprenditoriali europei si è riunita con il primo ministro a Downing Street, ieri. La delegazione di 14 membri, organizzata da BusinessEurope, ha avvertito il primo ministro che il mancato impegno ad aderire agli accordi di divorzio e l’affrettare le cose potrebbe provocare un collasso nella fiducia economica del Regno Unito. Il gruppo ha sottolineato i timori per il futuro delle imprese dei settori automobilistico, aerospaziale e farmaceutico, che potrebbero risentire delle tariffe dell’OMC, se non si raggiungesse nessun accordo. Carolyn Fairbairn, del CBI, ha presentato un sondaggio che ha indicato che il 60% delle imprese britanniche dovrà fare piani d’emergenza entro marzo 2018, se non verranno fornite garanzie su un accordo provvisorio. Il leader di BusinessEurope, Emma Marcegaglia, ha messo le cose in modo molto chiaro: “Le cose vanno male, molto male. Se non hanno certezze, semplicemente se ne andranno”.
Il portavoce di Downing Street ha offerto i soliti luoghi comuni che non hanno rassicurato il gruppo (né nessun altro) in passato:
“il primo ministro ha rassicurato il gruppo che la Brexit significa l’uscita del Regno Unito dall’UE, non dall’Europa, e ha reiterato le sue speranze per un commercio libero e senza attriti con i 27 paesi dell’UE una volta che il Regno Unito sarà fuori. Ha espresso inoltre il suo impegno a fornire alle imprese la sicurezza di cui hanno bisogno concordando un periodo di attuazione limitato prima possibile”.
Brexit significa Brexit, chiaro.