Stiamo arrivando al punto in cui ogni volta che il Primo ministro decreta qualcosa “dentro o fuori” è certo che accadrà il contrario. L'ultima “promessa” a rimetterci le penne è stata che il “voto significativo” sull'accordo di ritiro dell'UE (che la May si è assicurata dopo lunghe negoziazioni con l'UE) sarebbe avvenuto definitivamente stasera “al 100%”, nonostante il fatto che il governo sembrava sicuro di perdere pesantemente, generando ulteriore crisi politica, un potenziale voto di sfiducia o una sfida alla leadership all'interno dei suoi stessi ranghi.
Le voci per cui il voto sarebbe stato rinviato attraverso l'uso di un arcano meccanismo politico (e contro i desideri della maggioranza della Camera) hanno iniziato a circolare ieri a metà mattina, rislultando poi effettivamente vere. L'idea dietro al rinvio del disegno di legge era quella di cercare di persuadere l'UE a dare ulteriori concessioni, in particolare sull'attuazione e l'uscita dal “backstop”. Sembra che i leader europei siano disposti a modificare i termini usati, ma hanno chiarito che non riapriranno il processo dei negoziati. Allo stato attuale, il Regno Unito uscirà dall'UE senza alcuna fase di transizione e senza accordo il 29/3/19.
Lunedì la Corte di giustizia europea ha confermato una decisione provvisoria secondo cui il Regno Unito potrebbe ritirare unilateralmente la sua notifica ai sensi dell’articolo 50 e rimanere nell’UE ai termini di cui gode attualmente (naturalmente, questi sono certamente migliori dei termini dell'accordo contrattato dalla May).
Non sorprende che i mercati monetari abbiano reagito male allo sviluppo inaspettato, con la sterlina che è scesa ai minimi di 18 mesi contro il dollaro statunitense (questo è un lieve assaggio di ciò che accadrà alla valuta se non si potrà evitare una Bexit senza accordo).
Il Presidente della Camera dei Comuni ha concesso un dibattito di opposizione d’emergenza sulla debacle di ieri che si svolgerà oggi, ma avrà probabilmente scarso valore.