Va ricordato che il referendum dell’UE del 2016 non aveva alcuna forza legale di vincolare il governo a una particolare (o nessuna) linea di condotta, poiché si trattava di un voto “consultivo”. Mentre il voto ha visto uno dei più alti livelli di affluenza, il margine della decisione era stretto: essenzialmente dal 52% al 48% di coloro che hanno votato a favore dell'opzione di lasciare l’UE, ma del potenziale elettorato, il voto per il Leave è stato scelto solo dal 37%.
Il governo di Theresa May ha cambiato la propria posizione da “nessun accordo è meglio di un cattivo accordo” a “se si vuole evitare un no deal, votate per l'accordo che abbiamo mediato”. Questo accordo è stato respinto con un margine di 320 voti, la più grande sconfitta di un disegno di legge nella storia politica britannica.
Una Brexit “no deal” vedrebbe la re-imposizione di dazi doganali sulle esportazioni e sulle importazioni, che richiederebbero almeno delle ispezioni alle frontiere (porti e aeroporti) per alcuni beni (il trasporto di animali vivi e le ispezioni fitosanitarie sono obbligatorie) portando a grandi code ai/vicino i porti e paralizzando le catene di approvvigionamento “just-in-time”.
L’ultimo gruppo che ha messo in guardia dal pericolo reale di una Brexit “senza accordo” è un gruppo di principali supermercati che ha inviato una lettera, sostenuta dal British Retail Consortium, a tutti i parlamentari. La lettera sottolinea che il Regno Unito importa un terzo di tutto il suo cibo dall'UE e che un tale risultato potrebbe portare a carenze e far salire i prezzi:
“Siamo estremamente preoccupati che i nostri clienti saranno tra i primi a sperimentare la realtà di una Brexit senza accordo. Prevediamo rischi significativi nel mantenere la scelta, la qualità e la durata del cibo che i nostri clienti si aspettano di trovare nei nostri negozi e ci sarà inevitabile pressione sui prezzi degli alimenti a causa dei maggiori costi di trasporto, della svalutazione della valuta e dei dazi”.
La lettera è solo l'ultimo avvertimento per le conseguenze di una Brexit “no deal” da parte dell'industria britannica. Verrà il momento in cui i parlamentari dovranno votare gli emendamenti alla dichiarazione sul “Piano B”, fatta lunedì della scorsa settimana dal PM, descrivendo nominalmente i suoi piani sulla scia della storica sconfitta della legge sul ritiro.