Ieri si sono svolte alla Camera dei Comuni due votazioni cruciali sulla Brexit. Il primo voto era sulla seconda lettura del disegno di legge sull’accordo di ritiro, mentre il secondo sulla cosiddetta mozione di programma, che specificava la quantità di tempo fornita per dibattere l’accordo di ritiro e passare attraverso tutte le fasi necessarie per vederlo diventare legge, consentendo al Regno Unito di uscire dall’UE. La quantità di tempo pianificata per questo processo è stata di soli tre giorni di seduta.
L’accordo di ritiro è stato approvato, e ora può essere discusso in dettaglio e soggetto a modifiche. Si dice che l’opposizione intenda proporre due emendamenti chiave, cioé che il Regno Unito rimanga nell’unione doganale dell’UE e che richieda un voto di conferma (con l'opzione di rimanere nell’UE) alla fine del processo, dando l’opportunità all’elettorato di approvare o rifiutare il piano di Johnson per la Brexit.
L’accordo di ritiro è stato approvato con un 329 voti fovorevoli a fronte dei 299 contrari. Come più tardi Johnson ha sottolineato, questa è la prima volta che il parlamento ha votato a favore di un accordo di ritiro, ma molti dei voti dell’opposizione che lo hanno portato oltre la soglia provenivano da parlamentari intenti a cambiarne la legislazione al suo passaggio attraverso il parlamento.
La gioia di Johnson ha avuto durata breve, giacchè circa 20 minuti dopo la mozione di programma proposta dal governo è stata sconfitta con un margine di 14 voti: 322 voti contro e 304 a favore.
Quali sono ora le conseguenze? Bene, nonostante la minaccia di uccidere l’accordo di ritiro se il parlamento avesse respinto la mozione di programma (non è del tutto chiaro se il Primo Ministro abbia l’autorità legale per farlo), Johnson ne ha annunciato la sua “sospensione”. Era suo intento parlare con i leader dell’UE per determinare quanta estensione volessero concedere al Regno Unito rispetto alla scadenza del 31 ottobre. Il leader dell’opposizione ha proposto a Johnson di discutere per concordare un periodo accettabile da specificare in una nuova mozione di programma, ma Johnson si è detto contrario. Dopo le domande alla Camera dei Comuni sui meccanismi per far avanzare le cose, il Presidente, John Bercow, ha spiegato che l’accordo si trovava ora “in un limbo”, dal momento che un emendamento passato quando il partito laburista era al potere l’ultima volta, richiede che il passaggio di un disegno di legge venga fermato se la mozione di programma ad esso associato venisse rifiutata. In questo contesto, non è Johnson ad aver “messo in pausa” l’accordo, ma il parlamento stesso.
I prossimi passi non sono chiari. Ora è inevitabile che la scadenza del 31 ottobre prefissata da Johnson per lasciare l’UE passerà con il Regno Unito ancora membro del blocco.
La richiesta che Johnson ha inviato (non firmato) a Donald Tusk viene trattata come una richiesta formale del Regno Unito per una proroga. Probabilmente i leader dell’UE la concederanno, dato che hanno chiarito di non voler accellerare una Brexit “senza accordo”. Tusk ha indicato che l’approvazione può essere data se i leader concordano l’estensione per iscritto, ovviando alla necessità di un vertice di emergenza. La maggior parte degli osservatori ritiene che concederanno un’estensione di 3 mesi, come specificato nella legge Benn. Johnson spera che possano concedere solo una breve estensione tecnica, ma in questo caso si rischierebbe un’uscita caotica, quindi quest'eventualità resta improbabile.
Gli sviluppi di ieri rendono molto più probabili elezioni generali nelle prossime settimane, ma grazie alla legge sui termini fissi, i tempi non dipendono dal Primo Ministro ma dal leader dell’opposizione. Tuttavia, molti osservatori ritengono che nuove elezioni non risolveranno la Brexit poiché ne risulterà probabilmente un parlamento senza maggioranza. Se si dovesse tenere un ulteriore referendum prima delle elezioni generali, offrendo la scelta tra il rimanere nell’UE e, diciamo, l’attuale accordo di Johnson, si otterrebbe un chiaro punto finale.