ArcelorMittal rinuncia alla ripresa del sito siderurgico più grande e inquinante d’Europa, a Taranto, nell'Italia meridionale. Una tragedia per gli 8.200 dipendenti del sito, ma anche per i 200.000 abitanti di Taranto in una regione già economicamente danneggiata ed esposta a livelli record di inquinamento; ora gli abitanti vedono come una lontana possibilità la prospettiva di una bonifica del sito.
ArcelorMittal ha innescato un'esplosione rinunciando alla gigantesca acciaieria Ilva a Taranto, in Puglia, il tallone dello stivale italiano, mentre si citavano il "Disastro industriale e ambientale" e la "Bomba sociale" provocati dal gruppo indiano nel territorio.
Il governo italiano ha chiesto maggiori incontri con il gruppo siderurgico indiano nel tentativo di fargli cambiare idea. Invano.
L’Ilva di Taranto è la più grande acciaieria in Europa, cinque altiforni che hanno prodotto fino a 10 milioni di tonnellate di acciaio all'anno. Oggi sono in gioco 8.200 posti di lavoro, in una regione già interessata da un elevato tasso di disoccupazione che supera il 16%.
Pensata nei primi anni '60 come strumento di sviluppo economico nell'Italia meridionale, l’Ilva ha svolto a lungo il suo ruolo, prima di realizzare che si trattava di un'aberrazione sanitaria ed ecologica. Attaccata alla città per risparmiare sui costi logistici, l’ex Ilva ora raccoglie prove per intraprendere azioni legali.
Solo tra il 2004 e il 2010, gli esperti giudiziari stimano che siano state causate 7.500 morti per malattie cardio-respiratorie e tumori attribuibili alle sue emissioni tossiche.
Salvare il lavoro ad ogni costo
Dopo aver chiuso a lungo un occhio "in nome dell'occupazione", nel 2015 per far fronte al disastro, il governo italiano è stato costretto a nazionalizzare il sito. Alla fine del 2018, la vendita ad ArcelorMittal aveva un duplice obiettivo: preservare l'occupazione investendo in nuove attrezzature e proteggere la popolazione impegnandosi nella progressiva bonifica del sito.
Mica pazzo, prima dell’acquisizione dell’Ilva, ArcelorMittal aveva ottenuto la tutela giuridica contro possibili azioni legali connesse all'inquinamento. Un "patto" che il Senato ha messo in discussione; ArcelorMittal ha quindi gettato la spugna. Secondo i sindacati questo è solo un pretesto, e sospettano si tratti di un ricatto per far convalidare dallo Stato un declino della produzione e il licenziamento di 5.000 dipendenti.
Un fallimento per il Movimento 5 stelle
La defezione di ArcelorMittal è un disastro anche per l'M5S, il movimento a 5 stelle, a Roma al potere con i socialdemocratici da quando è avvenuta la scissione con l'estrema destra di Matteo Salvini.
Durante la campagna legislativa del 2018, l'M5S aveva promesso alla popolazione della regione la chiusura incondizionata del sito e il supporto per i dipendenti ... abbastanza per vincere quasi il 50% dei voti a Taranto e nella regione Puglia.
Solo che una volta al potere, il capo dell’M5S Luigi Di Maio si è trovato di fronte all'impossibile scelta di sacrificare il lavoro o tradire le sue promesse elettorali. Ha convalidato finalmente la soluzione ArcelorMittal, pur lasciando rimettere in questione la protezione giuridica del gruppo ai senatori. Oggi, l'M5S deve gestire la partenza di Mittal e la rabbia dei suoi elettori.